UNA VIA, UNA VALANGA E LA BELLEZZA DELLA MONTAGNA
Le gambe sono prese da una strana frenesia, mentre con le mani semi
congelate percorro la cengia rocciosa. Sento Ale che mi chiama, mi fermo
strofinandomi le dita e guardo in basso: lo stretto colatoio di misto è
irriconoscibile, sfigurato dalla grande valanga che mi ha appena graziato.
Siamo partiti alle 23.30 da casa, da Milano, con una decisione presa
all’ultimo momento. L’obiettivo era una vecchia storia, la via del Dubbio, una
via sconosciuta sul versante est del Tambò, una via non estrema, ma affascinate
e selvaggia.
Abbiamo calzato gli scarponi al buio, poi i primi bagliori rossi hanno
iniziato a tingere il cielo timidamente, sbucando da dietro i torrioni del
Suretta. Superata la crepaccia terminale abbiamo risalito il pendio di neve
dura, buona, fino alla bastionata rocciosa. Qui per placche e speroni siamo
saliti facilmente, imboccando poi il canale finale.
Piccozze e ramponi entrano alla perfezione, Ale è sullo sperone
roccioso, mentre io giungo ad una strettoia verticale che per rocce rotte
risalgo fino all’ultima placca: in piedi, in bilico su una lama di neve, cerco
di conficcare le picche nella neve inconsistente sopra la placca. Mi muovo
precariamente quando sento Ale urlare: “Attento Ste!”.
L’urlo continua, sento un boato tremendo avvicinarsi. Mollate le
picche nello zoccolo di neve sopra di me, mi metto rasente la placca, stando il
più possibile sotto il casco. Intorno a me scoppia il finimondo: neve fradicia
e sassi mi piovono tutti attorno investendomi sullo zaino e la testa. Diventa
tutto buio, sento massi enormi saltarmi mandando in frantumi la massa di neve
che mi protegge, le mie piccozze vengono spazzate via. Cerco di non farmi
sbilanciare, non penso a niente, cerco di rimanere in equilibrio.
Pian piano la furia della valanga diminuisce, un’ultima vomitata di
neve e poi basta; incredulo inizio a muovermi seguendo lentamente la cengia che
mi porta sullo sperone a destra del colatoio.
Quando Ale mi raggiunge non crede ai suoi occhi nel trovarmi ancora
vivo.
Eppure anche nella tragedia scampata la montagna nasconde una bellezza
inaspettata: la bellezza della sua selvaggia grandezza. La bellezza di una
natura che compie il suo corso, che semplicemente è. Una bellezza in cui noi
possiamo inoltrarci, senza poterla mai veramente dominare. E così, davanti
all’esaltazione delle nostre scalate, ci accorgiamo che anche la nostra vita à
nelle mani di un Altro, a cui possiamo semplicemente dire grazie.
Stefano
Mi ci ritrovo alla perfezione. E' vero, anche dopo aver compreso che la montagna da luogo di sfida e appagamento può divenire luogo di drammi e tragedie, anche dopo aver avuto paura, quella vera, quella che viene dal nostro amore per la vita, la montagna riserva una bellezza quasi inspiegabile.
RispondiEliminaGrazie,
Bruno S (aka Gaheris)