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venerdì 4 luglio 2014


UNA VIA, UNA VALANGA E LA BELLEZZA DELLA MONTAGNA


Le gambe sono prese da una strana frenesia, mentre con le mani semi congelate percorro la cengia rocciosa. Sento Ale che mi chiama, mi fermo strofinandomi le dita e guardo in basso: lo stretto colatoio di misto è irriconoscibile, sfigurato dalla grande valanga che mi ha appena graziato.

Siamo partiti alle 23.30 da casa, da Milano, con una decisione presa all’ultimo momento. L’obiettivo era una vecchia storia, la via del Dubbio, una via sconosciuta sul versante est del Tambò, una via non estrema, ma affascinate e selvaggia.
Abbiamo calzato gli scarponi al buio, poi i primi bagliori rossi hanno iniziato a tingere il cielo timidamente, sbucando da dietro i torrioni del Suretta. Superata la crepaccia terminale abbiamo risalito il pendio di neve dura, buona, fino alla bastionata rocciosa. Qui per placche e speroni siamo saliti facilmente, imboccando poi il canale finale.
Piccozze e ramponi entrano alla perfezione, Ale è sullo sperone roccioso, mentre io giungo ad una strettoia verticale che per rocce rotte risalgo fino all’ultima placca: in piedi, in bilico su una lama di neve, cerco di conficcare le picche nella neve inconsistente sopra la placca. Mi muovo precariamente quando sento Ale urlare: “Attento Ste!”.
L’urlo continua, sento un boato tremendo avvicinarsi. Mollate le picche nello zoccolo di neve sopra di me, mi metto rasente la placca, stando il più possibile sotto il casco. Intorno a me scoppia il finimondo: neve fradicia e sassi mi piovono tutti attorno investendomi sullo zaino e la testa. Diventa tutto buio, sento massi enormi saltarmi mandando in frantumi la massa di neve che mi protegge, le mie piccozze vengono spazzate via. Cerco di non farmi sbilanciare, non penso a niente, cerco di rimanere in equilibrio.
Pian piano la furia della valanga diminuisce, un’ultima vomitata di neve e poi basta; incredulo inizio a muovermi seguendo lentamente la cengia che mi porta sullo sperone a destra del colatoio.

Quando Ale mi raggiunge non crede ai suoi occhi nel trovarmi ancora vivo.

Eppure anche nella tragedia scampata la montagna nasconde una bellezza inaspettata: la bellezza della sua selvaggia grandezza. La bellezza di una natura che compie il suo corso, che semplicemente è. Una bellezza in cui noi possiamo inoltrarci, senza poterla mai veramente dominare. E così, davanti all’esaltazione delle nostre scalate, ci accorgiamo che anche la nostra vita à nelle mani di un Altro, a cui possiamo semplicemente dire grazie.

Stefano

lunedì 23 giugno 2014

SI PARTE DA SOLI, 

MA POI SI TROVA COMPAGNIA


Palon De La Mare - Parete nord ovest (AD-). 22 giugno 2014

A volte si parte in solitaria, nella notte, con i propri pensieri e il mondo che si svela mentre l'alba si avvicina. Poi accade di incontrare persone sulla via, scambiare anche solo un saluto, un'impressione, un saluto.
C'è comunque uno sguardo diverso sulle montagne...anche tra gli uomini.
Claudio


lunedì 19 maggio 2014


TEMPO DI METTERSI IN CAMMINO



Sabato 17 maggio abbiamo intrapreso un viaggio: due ore di auto fino al passo del Sempione, in Svizzera.
Abbiamo lasciato l'auto di fianco ai verdi pascoli del caratteristico villaggio Egga e carichi come muli ci siamo incamminati verso il bivacco De Zen, una minuscola casetta in lamiera con nove brande.
Il giorno seguente ci siamo svegliati alle 4, ci siamo legati in cordata e abbiamo scalato la parete nord del Fletschhorn (3993 m) per la celebre via dei Viennesi (in figura lo scivolo centrale della parete, 800 m difficoltà D, fino a 60° di pendenza).
Legarsi in cordata vuol dire condividere le proprie fatiche, le proprie emozioni e talvolta anche le proprie paure con il proprio compagno. Allora il compagno di cordata diventa davvero un compagno di strada, un amico con cui affrontare le difficoltà e le gioie.
Di difficoltà in discesa ne abbiamo avute tante: una cresta (la Breitloibgrat) decisamente insidiosa, la neve marcia che creava un pericoloso zoccolo di neve sotto gli scarponi rendendo inutile l'utilizzo dei ramponi, il sopraggiungere di una fitta nebbia che ci ha fatto dubitare del nostro orientamento più volte, l'estenuante ricerca infine del bivacco sul ghiacciaio con visibilità quasi nulla.
Quello che ci rimane di questa esperienza è certamente la percezione della sfida...ma soprattutto la percezione della bellezza presente in quel luogo, anche nei momenti più critici.
Chissà se la bellezza delle montagne è segno di una bellezza più grande...


Claudio e Stefano

sabato 8 febbraio 2014


Zucco di Pesciola - Cresta Ongania



26 Gennaio 2014
Le condizioni non sono buone, tanta neve fresca, alto il pericolo slavine e non fa neppure freddo. Qualche telefonata, poi si decide: si va lo stesso. Scegliamo una cresta per essere al sicuro da eventuali cedimenti del manto nevoso:  la Cresta Ongania allo Zucco di Pesciola.
Ritrovo al rifugio Lecco, una stretta di mano e si inizia a tracciare nella neve alta. 
Tiriamo su dritti per un canale che si fa sempre più ripido, la neve a tratti cede e i ramponi stridendo incontrano la roccia. 



Quando finalmente sbuchiamo in cresta un vento gelido ci colpisce la faccia, ci leghiamo e ripartiamo lungo la cresta. Inizia qui una favolosa danza con la nostra montagna, tra neve, bianco calcare e la bellezza di queste piccole dolomiti lecchesi.


Quando sbuchiamo alla madonnina di vetta una soddisfazione infinita ci invade, mentre molto più in basso minuscoli sciatori, come formichine nere, rigano le piste.
Eppure la via non è nuova per nessuno dei due, eppure la vetta è tutt’altro che vergine. 
Ma oggi, in questa giornata d’inverno dalle condizioni pessime, ci sentiamo i conquistatori del mondo. Questo ci sa regalare la montagna e noi, con la nostra scalata, rendiamo grazie.


Relazione: http://www.on-ice.it/onice/onice_view_report.php?type=4&id=4552


Testo: Stefano Sala
Fotografie - Filmati: Claudio Pesenti