lunedì 15 dicembre 2014



IL RACCONTO DELLA SPEDIZIONE




Il 6 novembre 2014 al Palamonti, sede del CAI di Bergamo, Stefano racconta la spedizione ed espone le fotografie scattate durante il viaggio e la scalata.
Presenta la serata Pietro Gavazzi, presidente della Commissione Alpinismo.

A seguire pubblicheremo il video relativo alla seconda parte della serata, in cui abbiamo raccontato "Perchè scaliamo le montagne".



lunedì 8 settembre 2014


L'URLO DELLA NATURA



"Una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la città e sotto di me il fiordo... Mi fermai e guardai al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo."               Edvard Munch


25 luglio 2014 - Campo logistico di Karkara – Frontiera tra Kazakhstan e Kyrgyzistan.

La tensione comincia a salire. Domani voleremo a bordo dell’elicottero militare kyrgyzo fino al campo base [1].
Mi allontano dalla tenda per sgranchirmi le gambe e fare una passeggiata.
Cammino in una valle non dissimile dalle nostre nelle Alpi: verdi pascoli, pinete, un torrente che separa i due stati.
Eppure al tramonto c’è una luce strana. Si percepisce un’atmosfera da frontiera, da fine del mondo conosciuto, oltre il quale solo ghiacci perenni e montagne senza nome abitano questo pianeta. La Terra allo stato primordiale.
Nella luce che si tinge di rosso si percepisce tutto questo. E’ un’atmosfera che fa tremare i polsi.
E’ come l’urlo della natura più selvaggia e spietata di fronte all’uomo.

Viene da chiedersi se mentre i sistemi solari e le galassie continuano il loro moto perpetuo la Misericordia da qualche parte stia salvando qualcuno [2].
Perché è proprio questo il punto: cos’è ultimamente questa realtà che ci è data nella quale camminiamo con reverenza e stupore?
Queste montagne che scaliamo sono per noi una promessa… la promessa che la bellezza che assaporiamo sia segno di una Bellezza più grande ed eterna.
Non c’è motivo più profondo per rischiare e mettersi in gioco tra i dirupi e le cime di questo: verificare questa promessa.
Ma la verifica è possibile solo in un rapporto umano. Un rapporto innanzitutto con se stessi [3], cioè conoscendo meglio se stessi, la propria natura profonda e i propri desideri più veri. E poi un rapporto con altri uomini, che come noi hanno sete di verità e bellezza. Con loro è possibile forse iniziare un cammino. 
Mentre scalando verso la cima andiamo sempre più in alto, camminando insieme a loro è possibile andare più in profondità della nostra vita.

Note
[1] - Campo base nord del Khan Tengri - Spedizione 2014
[2] - E' la domanda che si pone Kurt Diemberger (il grande alpinista austriaco) nel film "Verso Dove".
[3] - Rimando al post "La verità dell'io" (http://mountain-explorers.blogspot.it/2014/09/la-verita-dellio-tornato-dalla.html).

Claudio Pesenti

lunedì 1 settembre 2014


LA VERITA' DELL'IO




Tornato dalla spedizione, come è normale che sia, le persone ti chiedono come è andata, come è stata: ti chiedono di raccontare. Io racconto volentieri, mostro le foto, dico impressioni, sensazioni… eppure, alla fine, ci si accorge che qualcosa manca.
La cosa che più rimane impressa del racconto, su cui più si soffermano le domande, è la fatica e il pericolo, la scomodità della vita in spedizione e il rischio corso. E’ qui che cade il quesito più ovvio: perché? Perché passare la propria estate in questo modo? Perché spendere tutto quel tempo e soldi e fatica per una cosa così?
La domanda è ovvia e giustissima, noi stessi ce la ponevamo, soprattutto negli infiniti tempi morti che caratterizzano la vita ai campi. Nelle notti infinite, con la bufera che ulula fuori e il respiro che ghiaccia sul telo interno della tenda, è naturale chiedersi: “perché? Perché sono qui?”
Ecco, è proprio questo che manca nel racconto che continuo a fare della spedizione: la risposta a questo “perché”. Manca perché è un vissuto che rimane senza parole.

L’altra domanda che spesso ci si sente rivolgere è: “continuerai ad andare in montagna o ne hai avuta abbastanza?” (La stessa domanda che mi facevano dopo che sono stato investito da una valanga).
Quando sono partito ero convinto che una volta tornato per un po’ sarei stato tranquillo, godendomi relax e terre piatte. Invece, sull’aereo che mi riportava in Italia, mi sono sorpreso ad avere addosso un irrefrenabile desiderio di montagna. Perché? Anche la risposta a questo “perché” è senza parole, è qualcosa che parte dal cuore, che non ci si sa spiegare ma che c’è.

Una certa ermeneutica contemporanea, nel rivalutare l’Ideale di Platone, lo definisce un essere-non-ancora che tuttavia è già-qui. Questa stessa definizione incarna bene tutti i “perché” del mio andare in montagna.

Perché certamente, alla domanda “perché sono qui?” che mi facevo nella notte a campo due, con le gocce di ghiaccio che mi  picchiettavano il volto, ho risposto il giorno dopo. Ho risposto commuovendomi mentre legavo il rosario di mio padre sulla cima del Chapaeva.
E al “perché questo profondo desiderio di montagna?” la risposta è quella del lunedì, il giorno dopo la scalata. Il giorno in cui mi immergo nuovamente nei casini del lavoro, con però un certo dolore alle gambe: le labbra bruciare, le spalle stanche, il costante ricordo del compagno di cordata e della cima.
La risposta al “perché” è nei sintomi dell’andare in montagna, segni di una gioia e una soddisfazione assolutamente grande, una bellezza assolutamente grande. Una grandiosa bellezza vissuta che ti da la forza e la voglia di fare in modo altrettanto grande e bello il tuo lavoro quotidiano. Che ti alimenta il desiderio di vivere in modo grandioso, perché hai sperimentato quella grandiosità.

Ecco, vado in montagna per sentirmi pienamente me stesso, per vivere quella grandiosa bellezza per cui mi sento fatto e che profondamente desidero. E vado in montagna per poi ritrovare la forza e la speranza di esportare quella bellezza in ogni mio giorno della mia vita, per vivere quella grandiosa bellezza che è un essere-non-ancora che tuttavia è già-qui.

Stefano Sala

venerdì 22 agosto 2014


NON TUTTI I VAGABONDI SONO PERDUTI




“And the times when we were young
When life seemed so long
Day after day
You burned it all away”
                                                          Anathema


Avevo una chiara sensazione durante la spedizione [1]. La sensazione di non avere tempo da perdere.
Il tempo scorre vorace, spesso divora intere giornate lasciandoci nell’indifferenza occupati come siamo con il lavoro, gli hobby,… le cose da fare.
E’ affascinante come durante una spedizione il tempo assuma invece una dimensione dilatata. Non ci sono più gli affanni e la burocrazia della vita quotidiana. E’ affascinante e al tempo stesso psicologicamente provante: quando si è soli con se stessi e i propri pensieri, per ore chiusi in una tenda mentre fuori nevica, ogni domanda, ogni ferita aperta, ogni problema emerge imponente davanti a noi e chiede una risposta.
Allo stesso modo durante la scalata, quando il cielo si apre e gli spazi si fanno sconfinati, la bellezza suscita domande che non avevamo dentro di noi e che ugualmente si impongono come ferite aperte. E in questo sta tutto il potere della realtà: quello che accade sotto i nostri occhi nei momenti che si succedono (anche quelli apparentemente meno significativi) genera qualcosa nell’uomo, genera una presa di posizione, genera movimento.
L'ho capito uscendo dalla tenda a campo 1 [2] nella notte profonda: alzo gli occhi e si apre la vista della nostra galassia con miliardi di stelle che accendono il buio e danno profondità al cielo.
Basta avere uno sguardo attento e sapere dove guardare. Anche nei momenti più imbarazzanti.
Non ci sono riempitivi. E’ la vita al proprio stato essenziale.
Non c’è spazio per l’indifferenza.
Di fatto abbiamo deciso di metterci in gioco, di viaggiare, di metterci in cammino.
Vaghiamo su questa terra, camminiamo su ghiacciai, percorriamo creste affilate, passiamo le notti in bivacco. Vaghiamo osservando tutto con attenzione e rigoroso silenzio. Siamo vagabondi, ma non siamo perduti.
In un certo senso la cima della montagna che vogliamo raggiungere indica simbolicamente che abbiamo una meta ben chiara in testa: la verità.
Scalando le montagne vogliamo raggiungere la verità di noi stessi e avvicinarci alla Verità della realtà.

Note
[1] - Spedizione 2014 al Khan Tengri (Tien Shan, Kazakhstan), 7010 m.
[2] - Campo 1 del Khan Tengri, quota 4500 m.
Claudio Pesenti


domenica 20 luglio 2014

QUANDO IL GIOCO SI FA DURO...

Slavina per Stefano. Tendinite (quasi risolta) e allenamento fermo da settimane per Claudio.

Abbiamo le nostre preoccupazioni, ma l'adrenalina sale in vista della spedizione 2014 al Khan Tengri (7010 m). 
Ripercorriamo con la mente le ragioni che ci hanno spinto a organizzare questa avventura. Troviamo la motivazione e la passione di chi non parte per conquistare una montagna, ma parte per un viaggio dentro se stesso, per osservare e gustare il mondo che ci è dato e infine tornare tra gli uomini.

Giovedì prossimo 24 luglio partiremo alle ore 14 dall'aeroporto di Orio al Serio alla volta di Almaty (Kazakhstan). 
Giunti in Asia centrale, in aeroporto incontreremo i kazaki che gestiscono il campo base del Khan Tengri sul ghiacciaio Engilchek Nord. Verremo portati in jeep al campo logistico di Karkara dove il 27 luglio saliremo sull'elicottero che volerà fino al campo base al confine con Cina e Kyrgyzstan.

Le previsioni sul Khan Tengri parlano di condizioni climatiche molto dure in questi giorni: finestre di bel tempo ridotte al minimo, fino a 20 cm di neve scaricata quasi ogni giorno, una temperatura percepita fino a - 31°C in vetta.
Sarà dura.
Cercheremo di affrontare l'ascensione con intelligenza e il giusto ritmo per poterci acclimatare nel migliore dei modi, sperando di non avere ricadute fisiche al tendine o mal di montagna acuto.
Il nostro obiettivo minimo è di raggiungere lo sperone nord del Pik Chapayeva (6150 m), il cui sperone settentrionale costituisce la via seguita per raggiungere campo 3 prima di tentare la salita finale al Khan Tengri.



Non sarà possibile aggiornare il blog in tempo reale, non disponendo di una connessione internet al campo base. 
Potremo probabilmente utilizzare un paio di volte il telefono satellitare in dotazione al campo base per avvisare i nostri cari ed eventualmente segnalare tramite loro sul blog i progressi della spedizione dopo una decina di giorni circa.

Un saluto a tutti!
Claudio e Stefano




venerdì 4 luglio 2014


UNA VIA, UNA VALANGA E LA BELLEZZA DELLA MONTAGNA


Le gambe sono prese da una strana frenesia, mentre con le mani semi congelate percorro la cengia rocciosa. Sento Ale che mi chiama, mi fermo strofinandomi le dita e guardo in basso: lo stretto colatoio di misto è irriconoscibile, sfigurato dalla grande valanga che mi ha appena graziato.

Siamo partiti alle 23.30 da casa, da Milano, con una decisione presa all’ultimo momento. L’obiettivo era una vecchia storia, la via del Dubbio, una via sconosciuta sul versante est del Tambò, una via non estrema, ma affascinate e selvaggia.
Abbiamo calzato gli scarponi al buio, poi i primi bagliori rossi hanno iniziato a tingere il cielo timidamente, sbucando da dietro i torrioni del Suretta. Superata la crepaccia terminale abbiamo risalito il pendio di neve dura, buona, fino alla bastionata rocciosa. Qui per placche e speroni siamo saliti facilmente, imboccando poi il canale finale.
Piccozze e ramponi entrano alla perfezione, Ale è sullo sperone roccioso, mentre io giungo ad una strettoia verticale che per rocce rotte risalgo fino all’ultima placca: in piedi, in bilico su una lama di neve, cerco di conficcare le picche nella neve inconsistente sopra la placca. Mi muovo precariamente quando sento Ale urlare: “Attento Ste!”.
L’urlo continua, sento un boato tremendo avvicinarsi. Mollate le picche nello zoccolo di neve sopra di me, mi metto rasente la placca, stando il più possibile sotto il casco. Intorno a me scoppia il finimondo: neve fradicia e sassi mi piovono tutti attorno investendomi sullo zaino e la testa. Diventa tutto buio, sento massi enormi saltarmi mandando in frantumi la massa di neve che mi protegge, le mie piccozze vengono spazzate via. Cerco di non farmi sbilanciare, non penso a niente, cerco di rimanere in equilibrio.
Pian piano la furia della valanga diminuisce, un’ultima vomitata di neve e poi basta; incredulo inizio a muovermi seguendo lentamente la cengia che mi porta sullo sperone a destra del colatoio.

Quando Ale mi raggiunge non crede ai suoi occhi nel trovarmi ancora vivo.

Eppure anche nella tragedia scampata la montagna nasconde una bellezza inaspettata: la bellezza della sua selvaggia grandezza. La bellezza di una natura che compie il suo corso, che semplicemente è. Una bellezza in cui noi possiamo inoltrarci, senza poterla mai veramente dominare. E così, davanti all’esaltazione delle nostre scalate, ci accorgiamo che anche la nostra vita à nelle mani di un Altro, a cui possiamo semplicemente dire grazie.

Stefano

lunedì 23 giugno 2014

SI PARTE DA SOLI, 

MA POI SI TROVA COMPAGNIA


Palon De La Mare - Parete nord ovest (AD-). 22 giugno 2014

A volte si parte in solitaria, nella notte, con i propri pensieri e il mondo che si svela mentre l'alba si avvicina. Poi accade di incontrare persone sulla via, scambiare anche solo un saluto, un'impressione, un saluto.
C'è comunque uno sguardo diverso sulle montagne...anche tra gli uomini.
Claudio


lunedì 2 giugno 2014


ANNI '70: RITORNO ALLA REALTA'



"Welcome my son, welcome to the machine.
What did you dream?
It's alright we told you what to dream.
You dreamed of a big star,
He played a mean guitar,
He always ate in the Steak Bar,
He loved to drive in his Jaguar.
So welcome to the Machine"
Pink Floyd . Welcome to the Machine - 1975

Nel 1975 gli inglesi Pink Floyd pubblicavano l'album "Wish you were here", capolavoro assoluto della storia della musica. 
Seconda traccia dell'album, composta da Roger Waters, è "Welcome to the machine", straziante lamento di un uomo consapevole di essere nient'altro che un ingranaggio nella grande macchina della società industriale, in cui i desideri, i sogni, gli obiettivi della persona vengono imposti dalla società come attraverso una sorta di messaggio subliminale (i posti in cui mangiare, le auto da guidare, etc).

E' assolutamente vero che abbiamo perso il contatto con la realtà (la creazione per qualcuno), immersi come siamo in una realtà totalmente virtuale: televisione, computer, tablet, smartphone,... .
L'alpinismo in un certo senso per qualcuno nasce come riscoperta della realtà, quella vera, dove l'uomo riconosce in modo assolutamente cristallino di essere creatura e non creatore, dove le dimensioni degli spazi naturali rendono umile la ragione e la risvegliano dal torpore determinato da liste di cose da fare e stimolazioni digitali.
Nel silenzio di una notte in bivacco non ci si può mentire. 
Dimenticati gli affanni, le tasse, la spesa, gli hobby per riempire il tempo,... la ragione lavora e si interroga sulla sostanza di quello che ha visto durante la giornata: nevi perenni, nuvole, pascoli, acqua, la ruota del cielo stellato,... .

Tre anni dopo l'uscita di "Wish you were here", nel 1978, il grande alpinista inglese Peter Boardman scriveva "La Montagna di Luce", libro in cui racconta la difficile scalata della parete ovest al Changabang, nell'Himalaya indiano.
Il libro inizia con lo struggimento interiore dello scalatore per la "rovinosa corsa della vita urbana".
Si legge inoltre: "... ci vuole molta più sopportazione a lavorare in una città di quanta ne sia richiesta per scalare un'alta montagna. Ci vuole molta più pazienza a vedere le speranze e le ambizioni dell'infanzia distrutte e a sottomettersi alla routine giornaliera del lavoro che ti inserisce in un piccolo dente della ruota della civiltà occidentale. Alpinisti (...). Ma chi sono costoro? Occidentali eroi di professione? Parassiti in fuga che giocano all'avventura? Ossessionati disertori che vogliono fare qualcosa di diverso? Scontenti ed egomaniaci che non si assoggettano alla disciplina del conformismo?".

Forse gli alpinisti con questa coscienza sono semplicemente... uomini veri.

Claudio Pesenti









lunedì 19 maggio 2014


TEMPO DI METTERSI IN CAMMINO



Sabato 17 maggio abbiamo intrapreso un viaggio: due ore di auto fino al passo del Sempione, in Svizzera.
Abbiamo lasciato l'auto di fianco ai verdi pascoli del caratteristico villaggio Egga e carichi come muli ci siamo incamminati verso il bivacco De Zen, una minuscola casetta in lamiera con nove brande.
Il giorno seguente ci siamo svegliati alle 4, ci siamo legati in cordata e abbiamo scalato la parete nord del Fletschhorn (3993 m) per la celebre via dei Viennesi (in figura lo scivolo centrale della parete, 800 m difficoltà D, fino a 60° di pendenza).
Legarsi in cordata vuol dire condividere le proprie fatiche, le proprie emozioni e talvolta anche le proprie paure con il proprio compagno. Allora il compagno di cordata diventa davvero un compagno di strada, un amico con cui affrontare le difficoltà e le gioie.
Di difficoltà in discesa ne abbiamo avute tante: una cresta (la Breitloibgrat) decisamente insidiosa, la neve marcia che creava un pericoloso zoccolo di neve sotto gli scarponi rendendo inutile l'utilizzo dei ramponi, il sopraggiungere di una fitta nebbia che ci ha fatto dubitare del nostro orientamento più volte, l'estenuante ricerca infine del bivacco sul ghiacciaio con visibilità quasi nulla.
Quello che ci rimane di questa esperienza è certamente la percezione della sfida...ma soprattutto la percezione della bellezza presente in quel luogo, anche nei momenti più critici.
Chissà se la bellezza delle montagne è segno di una bellezza più grande...


Claudio e Stefano

lunedì 5 maggio 2014


TRAINING ARRAMPICATA INDOOR


Allenamento di forza su circuiti boulder presso la palestra di arrampicata "Parete Rossa" di Rozzano (Mi), con la guida di Patrizio Gossenberg.

L'allenamento per la spedizione Khan Tengri 2014 sta procedendo prevalentemente su due fronti: allenamento di forza-resistenza muscolare di tronco, schiena e braccia e allenamento aerobico. 
Il primo viene effettuato attraverso arrampicata indoor, addominali, piegamenti e trazioni fino a 3 giorni alla settimana.
Il secondo viene effettuato tramite corsa (fino a un'ora al giorno per un massimo di 4/5 giorni a settimana) e scalate in ambiente durante il weekend.




Ringraziamo gli amici che hanno contribuito al nostro progetto acquistando la t-shirt ufficiale della spedizione! Più ci supportate, più noi ci alleniamo!
Claudio e Stefano


Climbers in ordine di apparizione: Patrizio Gossenberg, Claudio
Video: Claudio
Musica: Led Zeppelin - When the Levee Breaks

sabato 8 febbraio 2014


Zucco di Pesciola - Cresta Ongania



26 Gennaio 2014
Le condizioni non sono buone, tanta neve fresca, alto il pericolo slavine e non fa neppure freddo. Qualche telefonata, poi si decide: si va lo stesso. Scegliamo una cresta per essere al sicuro da eventuali cedimenti del manto nevoso:  la Cresta Ongania allo Zucco di Pesciola.
Ritrovo al rifugio Lecco, una stretta di mano e si inizia a tracciare nella neve alta. 
Tiriamo su dritti per un canale che si fa sempre più ripido, la neve a tratti cede e i ramponi stridendo incontrano la roccia. 



Quando finalmente sbuchiamo in cresta un vento gelido ci colpisce la faccia, ci leghiamo e ripartiamo lungo la cresta. Inizia qui una favolosa danza con la nostra montagna, tra neve, bianco calcare e la bellezza di queste piccole dolomiti lecchesi.


Quando sbuchiamo alla madonnina di vetta una soddisfazione infinita ci invade, mentre molto più in basso minuscoli sciatori, come formichine nere, rigano le piste.
Eppure la via non è nuova per nessuno dei due, eppure la vetta è tutt’altro che vergine. 
Ma oggi, in questa giornata d’inverno dalle condizioni pessime, ci sentiamo i conquistatori del mondo. Questo ci sa regalare la montagna e noi, con la nostra scalata, rendiamo grazie.


Relazione: http://www.on-ice.it/onice/onice_view_report.php?type=4&id=4552


Testo: Stefano Sala
Fotografie - Filmati: Claudio Pesenti