sabato 21 febbraio 2015


FULMINE A CIEL SERENO


Val di Scalve. Fine gennaio. Stefano cammina davanti a me nella neve. Sono passati molti mesi dalla spedizione ma qualcosa continua a non girare per il verso giusto. Dopo 50 minuti di marcia cominciano i dolori dietro il ginocchio destro. Tutto come lo scorso giugno e poi al Khan Tengri. Nulla è cambiato, nulla è guarito. La pace lascia spazio allo sconforto e alle preoccupazioni. Il dolore diventa lancinante. Risonanza magnetica in arrivo.

I giorni successivi penso e ripenso all’impossibilità di scalare. Un fulmine a ciel sereno. Rimane solo la possibilità di dedicarmi interamente alla roccia per quest’anno, arrampicando su vie che non richiedano più di mezzora di avvicinamento. Una limitazione sconcertante alla voglia di esplorare e scoprire, ma anche una chance di migliorare la tecnica in una disciplina in cui di certo non brillo.

Rimangono tante domande rispetto all’impossibilità di approfondire la mia passione per l’alta quota e gli ambienti estremi. Rimane l’amaro in bocca e la preoccupazione che un giorno le alte vette potranno essere ammirate soltanto dal basso. Eppure noi non viviamo per la montagna. Se c’è una lezione che nasce da questa fregatura è che la montagna per noi non è un assoluto, ma semplicemente un mezzo per vivere più intensamente la realtà e la vita. Si può vivere intensamente ovunque, basta essere Uomini.

Intanto però si vende cara la pelle! Aggrappiamoci alla roccia!


Foto: zoppicando ai Forni (SO), subito dopo l'infortunio avvenuto durante la discesa dalla parete nord-ovest del Palon de la Mare (giugno 2014).

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